giovedì 12 aprile 2012

Aube -- Alba





Aube

J’ai embrassé l’aube d’étè (A.R.)

Justin ama il grigio che si scurisce in turchese e scivola sinuoso lungo le banchine del fiume. Justin ama l’alba, arancio e dorata e glicine, pallida ma forte. Siede nella brezza fredda e tutto attorno a lui sembra immobile, ma lui lo sa. Un senzatetto sta raccogliendo i suoi cartoni ed il suo violino e scende lungo Rue St Paul, alla ricerca di una colazione compassionevole. Le ragazze si affrettano verso gli uffici sulle loro gambe snelle, gli scolari stanno chiedendo un altro minuto alle loro sveglie. L’ultima luce su Pigalle si sta affievolendo, il rosso promettente cancellato dal solido grigio del lunedi. Il corpo usato di un ragazzino senza nome sta lasciando un letto ormai freddo. Una ragazza sta sorridendo segretamente al biglietto aereo piegato nella tasca dei suoi jeans.
Justin è rimasto seduto sui gradini del sacro cuore cosi a lungo che non è certo di poter ancora, davvero sentire il suo corpo ma allo stesso modo, non è certo che gli interessi. Una donna paffuta gli passa davanti e raggiunge le porte della cattedrale, mestamente lascia cadere una moneta da due euro nel piccolo cestino posato sul pavimento, implorando un miracolo. Il carboncino di justin scorre troppo veloce sul foglio perché lui lo possa seguire e lui fa fatica, strizza leggermente gli occhi per meglio mettere a fuoco uno strappo di bianco e blu prima che gli fugga via da davanti agli occhi.
Parigi suona la sua musica per lui, e justin ascolta attento ma per quanto sia solerte, c’è ancora una canzone che Parigi non riesce a cantare per lui: quella di un respiro piccolo, soffiato che una volta ha suonato in un letto con lenzuola blu prussia che una volta era stato anche il suo. La sola musica che una volta, tanti anni prima, lo aveva fatto ballare.

mercoledì 11 aprile 2012

Bugie




Adesso so. So tutto quello che c’era da sapere.
So dell'ombra. L’ombra che ci seguiva, e che io, cosi stupidamente divino,ora cosi inutilmente onnisciente, quelle ombra non l'avevo mai viste. Rosso del sangue, nero della morte, il bianco accecante del tuo corpo dentro di me, eppure il grigio, il banale, subdolo grigio delle ombre, quello no. Si annidavano con cautela dietro le mura,disciolte negli angoli ma io indietro non mi sono mai voltato, non ho avuto mai tempo per il biascicare. Ed ora so che era solo perché tu non mi avevi permesso di sentire, perché li avevi allontanati con un gesto della mano perché non offuscassero la mia luce
Che stupido sono stato! Pensavo davvero di essere il figlio del Dio, di sapere ogni cosa?

Una volta sapevo come prendere un colpo, e come renderlo. Avevo imparato bene a difendermi, collere rosse,dolori neri; li conoscevo senza paura. Lutto dopo lutto, pira dopo pira, per ogni minuto avevo creduto di saper resistere perché da bambino avevo conosciuto l’inverno ed il freddo.
Ma la vita senza di te, no.
Mi lascio scivolare per terra e la schiena sta ancora troppo rigida contro il muro.
Il mio corpo fa ancora troppo male, il tuo è ancora troppo vivo. Ti ho toccato, Efestione, quasi con deferenza, ho lasciato scivolare il palmo lungo il tuo fianco, e tu eri vivo.
Ti maledico con tutta la violenza di cui sono capace, con tutta la violenza accumulata nel tempo,che ancora una volta,forse per l’ultima volta, ti chiedo di prendere con te
Perché non mi hai insegnato la vita senza di te? Perché non mi hai insegnato che sarebbe arrivato il giorno in cui le ombre grigie avrebbero camminato sul tuo volto?
Mi hai mentito invece. Mi hai detto di andare fino a dove bruciavano le fiamme, a cercare un paradiso che dormiva nei segreti dell’anima.
Mi hai promesso di essere la mia luce e la mia fede, mi hai promesso che se mai mi fossi perso,tu saresti stato li, mi hai promesso che anche dove la ragione m’avesse abbandonato, tu mi avresti sentito senza che io proferissi parola.
Se mai ti perderai,io sarò lì. Quando la tempesta nasce e muoiono le luci, io sarò li.
Cercherò il tuo cuore se lo porterai altrove, userò nuove lingue per chiamare il tuo nome.
Ti amerò quando l’estate per te sarà l’inverno.
Se venire verso di te,sarà camminare verso la soglia del nulla, allora affretterò il passo
Se ci saranno parole che non riuscirai a dire,allora marchierò la mia pelle con tutto quello che non è stato detto
Se di noi rimarrà solo il male,amerò solo quello
Bugiardo.


Non puoi avermi mentito,Phai. Non tu, philé. Non tu, che sapevi anche senza vedere.
Ma lo hai fatto, mi hai mentito ed ora invoco il ritorno di un amore assassino. Ora per la prima volta anche io conosco la sconfitta, la sconfitta di amarti,ancora.
Se una volta mi hai amato, se hai detto quelle bugie perché mi hai amato, allora torna. Torna per dirmene ancora. Torna per dirmi che vivrò senza di te. E che per i miei occhi varrà la pena di vedere il mondo senza di te, che il mio cammino non sarà solo un lungo errare, andare il verso il nulla,in attesa di affogare. A cosa servirà continuare a camminare se non mi porterà verso di te?
Perché adesso, mentre persino il cielo va via inghiottito dalla notte, ho paura della tua voce che non mi risponde, ho paura di dimenticare il male che fa amarti, adesso, mentre la mia vita ed il mio buon senso vanno alla deriva,ho paura.
Non ho notato la pioggia che mi sta bagnando, fino a quest’ultima goccia che scivola sul mio collo. Lo fa lentamente, strisciando su di me. La pioggia su di me è come dita, reclino indietro la testa e lascio che mi accarezzino. Scendono via dal mio volto,sul petto insinuandosi nelle cavità di un corpo che non è mai appartenuto, è stato tuo all’inizio, sarà tuo adesso nella fine. Guardo in alto verso il cielo,sperando che la pioggia aumenti,che  mi trascini via con sé, ma io non sono onnipotente Efestione, solo tu lo sei.


Provo a immaginare che le dita della pioggia siano le tue,le tue dita sul mio corpo,mi piego ancora una volta al volere delle tue mani. Ma la dita della pioggia sono troppo delicate per essere le tue. Dove sono le tue mani,le mani che furono mie, le mani che mi hanno posseduto,sotto le quali ogni frantumata speranza si è ricomposta ?. Le tue mani sul mio corpo,le tue mani nel sogno. Ma questa pioggia non brucia come il tuo tocco. Questa pioggia scivola senza trattenermi, senza incatenarmi questa pioggia non è come le tue mani, lei non mi pretende né mi protegge, lei non mi graffia né mi racchiude. E la voce di questo vento che la accompagna non è la tua voce, che ride come la cascata sulla mia pelle, la cui verità mi taglia il cuore per poi riversare il suo miele su di me. Questo vento è solo il vento, e non la voce di un uomo,le sue inevitabili asprezze smussate dall’amore; ed ora che mi sussurra nell’orecchio, che la sua pioggia mi bagna, non è la tua voce che dice parole a lungo dimenticate,non sono le tue lacrime che rotolano sul mio corpo.
Ma per un attimo,ancora,ci voglio credere, per un attimo la mia follia è sana, e mi culla
Lascio perciò che questa pioggia e questo vento mi sferzino il viso,ancora, e qualcosa simile ad una risata- la mia?- mi rimane strozzata in gola.
Ho desiderato l’eternità. Caduto nell’oblio degli dei,mi sei rimasto solo tu,il mio unico dio,mia unica ala.
Immortale. Sono sopravvissuto a tutto questo.
Immortale. Solo per morire di te.

Le parole mi leccano gli occhi

Vengono quando non le voglio. Come tutte le cose della vita. Dopo che ho finito, chiuso, tirato le coperte a coprire le orecchie perché, no, al contrario di quanto possa sembrare, io non le voglio sentire. Credo di sapere anche da dove vengano: è la finestra, quello spiffero aperto che spingo sempre col ginocchio ma non combacia mai come dovrebbe. E loro entrano da la, le parole infide. Mi leccano gli occhi con movimenti circolari, tolgono via il sale. A volte soffiano tra le palpebre. Quando proprio non voglio ascoltare e sono cattiva e ostinata, allora ficcano le unghie e vanno in fondo e pure se io sono ancora accucciata dietro, dentro il buio della testa, fanno esplodere i fuochi; loro mi aprono gli occhi e si mettono in fila, si fanno leggere. Raccontano storie. Banshee e passi affrettati di vecchie governanti con le chiavi che sferragliano al fianco, bambine affacciate al bordo delle navi, albe livide e dolori di Verlaine, sarisse tenute in mano da ragazzini pieni di paura.
Perchè mai devo ascoltarvi? Io non so niente del mondo, finché le parole non decidono che io devo sapere. E se raccontassero solo bugie?